lunedì 15 giugno 2015

L'indie italiano e la sindrome dello studente dell'ultimo banco

Foto: Cristopher Michel (Flickr)

Alzi la mano chi non lo ha vissuto in prima persona: nella gran parte delle classi scolastiche emergono due categorie di studenti diametralmente opposte: da un lato il "secchione", sempre al primo banco, attento, si applica e pupillo dalla professoressa. All'ultimo banco troviamo invece lo studente ribelle, indisciplinato e incompiuto. Spesso tra lo studente del primo banco e quello dell'ultimo banco non scorre buon sangue.

Ebbene, il pubblico indie medio italiano tende ad identificare gli artisti indie come propri compagni di classe, dove la professoressa, con i suoi voti determina i parametri per il successo.Tutti fanno a gara per accomodarsi all'ultimo banco per non essere notati dalla professoressa, per fare baldoria e conquistarsi il ruolo di mito tra i compagni. Poi c'è chi invece è ambizioso e si applica, studia, e si concentra sui buoni voti. Ciò però può costare l'antipatia e l'isolamento di una certa fazione della classe, gli haters.

Un atteggiamento che porta una certa fazione del pubblico indie italiano (gli studenti dell'ultimo banco) a paralizzare il movimento indie dentro uno snobismo intellettualoide che crea una barriera tra esso e il successo (i buoni voti). Nei paesi anglosassoni invece gli artisti indie possono diventare star e fare fatturato, seguendo le leggi del mercato senza sacrificare la qualità artistica della propria musica. Si pensi ai precursori Radiohead ma anche agli Strokes, agli Arctic Monkeys e St. Vincent.

L'alunno dell'ultimo banco vorrebbe che il compagno rimanesse sempre con sé a fare baldoria e non sopporta che possa staccarsi dal suo stile di vita per diventare il pupillo della professoressa. Sarà perché identificarsi in artista misconosciuto, elevato a figura semi-mitologica ci aiuta a sentirci meno deboli.

Si tratta di un fenomeno tipicamente nostrano e che coinvolge tutti i campi, vedi ad esempio l'antipatia e i commenti sarcastici che ha attirato l'astronauta italiana Samantha Cristoforetti negli ultimi giorni. In Italia ottenere fama e successo è visto come un atto di tradimento e la perdita dello status di icona rassicurante di un pubblico che ama più identificarsi nei perdenti e negli incompiuti. Un Paese che ha paura di crescere, anche musicalmente. Ed è un peccato, poiché intanto la musica di massa resta nelle mani della musica senza pretese artistiche, alimentata dai talent show e dalle sole leggi del mercato.

Cosa possono fare dal canto loro gli addetti ai lavori? Tutte le realtà che ruotano attorno alla musica (artisti, etichette, agenzie di booking, locali, festival, giornalisti, blogger, ecc.) devono unirsi solidalmente e pubblicizzarsi tra loro, creare pochi ma forti canali condivisi, per dare un segnale forte: anche la musica indie si sente grande e influente e non ha paura di applicarsi, crescere e diventare prima della classe.

C'è bisogno dunque di dare identità al fenomeno e capacità di educare culturalmente l'ascoltatore a riconoscere il proprio valore (quando effettivamente c'è) senza paura di rivendicare le proprie ambizioni a diventare fenomeno di massa.