giovedì 27 novembre 2014

[MUSICRAISER] Il ritorno degli Intercity



Gli Intercity sono un apprezzato collettivo bresciano attivo già da diversi anni sulla scena indipendente e che ha vissuto sinora una storia abbastanza movimentata, con diversi cambi di nome e formazione.

Dopo 3 dischi in inglese a nome Edwood (“Like a movement” del 2004, “Punk music during the sleep” del 2007, “Godspeed” del 2010) e dopo due dischi in italiano a nome Intercity (“Grand piano” del 2009 e “Yuhu” del 2012, con alla chitarra Anna Viganò, passata nel frattempo all'Officina Della Camonilla), nel 2013 tornano con un nuovo album Fabio e Michele Campetti, con Paolo Mellory Comini e Gian Nicola Maccarinelli pubblicando il primo disco a nome Campetty.

Il comune denominatore di queste esperienze artistiche sono i fratelli Fabio e Michele Campetti e un rock raffinato e intimista che ha ben impressionato la critica.

Ora, di nuovo sotto il nome di Intercity, i fratelli Campetti si rivolgono al crowdfunding di Musicraiser per produrre "Amur", l'album del ritorno come Intercity con un obiettivo minimo di 2.200 euro necessari per coprire le spese di mastering, stampa, promozione e distribuzione.

La lista delle ricompense è estremamente ricca: album in varie edizioni (perfino una in musicassetta) gli immancabili prodotti di merchandising, stampa fotografica di una suggestiva collezione di fotografie,ingressi al party "Amur", comparsata nel videoclip, unplugged a casa del raiser.

Di certo gli Intercity potranno fare leva su tanti fan  ed estimatori accumulati nel corso degli anni e che attendevano questo ritorno.



giovedì 20 novembre 2014

[INTERVISTA] Francesco Pizzinelli: da Jocelyn Pulsar a Divano passando per l'indie italiano



Francesco Pizzinelli, classe 1979 da Forlì è da più di un decennio uno dei cantautori più interessanti e sottovalutati della scena musicale italiana. All'attivo 7 album con la one man band Jocelyn Pulsar: cantautorato nostalgico, semplice ma non banale, colto perché ricco di argomenti e citazioni. Un autore vecchia maniera che canta: "Perché non ci sono più i cantautori con gli occhiali?".

Il 27 giugno di quest'anno, con uno status alquanto laconico su Facebook Francesco annuncia ufficialmente la fine della lunga e gloriosa esperienza Jocelyn Pulsar:





Non si tratta tuttavia della fine della carriera musicale di Francesco Pizzinelli, ma solo la fine di un capitolo artistico che ne apre uno nuovo, denominato Divano. Da oggi è disponibile su Youtube il video, particolarmente ironico, de Il pezzo è bello se lo canta mia nonna, curioso esperimento di social-canzone.



Ho voluto intervistare Francesco per farmi raccontare il suo percorso artistico e discografico, la sua visione della musica indipendente e le ragioni che lo hanno indotto a voltare pagina.

Quando ti sei affacciato alla musica? Quali sono gli artisti che più ti hanno influenzato?

Io suono praticamente da quando andavo alle elementari, anzi mi dicono che già all’ asilo mi infilavo nelle altre sezioni e costringevo gli altri bambini a sentirmi cantare: la mia prima band vera e propria l’ ho avuta verso i 15 anni e ci chiamavamo Inerba, già allora con l’ idea di fare canzoni nostre e sempre meno cover: terminata questa esperienza (ma con loro sono tuttora in ottimi rapporti, poi va beh, il batterista è mio fratello eheheh) ho iniziato quello che di lì a poco sarebbe diventato Jocelyn Pulsar: era il 2003.
Gli artisti che mi hanno influenzato di più sono De Gregori, Ivan Graziani, e  i Pavement.

Poi è arrivata l’esperienza in etichette importanti come Garrincha Dischi e Fosbury Records . Come ti sei trovato con loro?

Prima c è stata la Agos Music, etichetta di liscio campagnola che ha fatto uscire i miei primi 3 dischi, e che non finirò mai di ringraziare: quando sono arrivato alla Garrincha l’etichetta non aveva ancora spiccato il volo, Lo Stato Sociale doveva ancora uscire con il primo disco, tutto aveva un’ atmosfera molto intima e home made, con una bella ricerca anche a livello estetico. Fosbury Records è stata una cosa diversa: l’ etichetta era veramente “storica” e al mio arrivo aveva probabilmente dato tutto quello che poteva, tanto è vero che io sono stato l’ ultima uscita (accidenti che onore, se ci penso..) e poi ha chiuso, purtroppo: con Alessandro c’ è stata una collaborazione molto amichevole, lui è una persona molto gentile e piacevole.

A proposito di Garrincha, cosa è cambiato in particolare  con l'avvento de Lo Stato Sociale?

Lo Stato Sociale in realtà era già in Garrincha più o meno quando sono arrivato io, mi ricordo di un loro live per una stradina di Bologna, una piccola festa, non tanta gente: poi è successo che hanno funzionato bene e la cosa si è ingrandita, e naturalmente la Garrincha con loro. Penso che grazie al successo de Lo Stato Sociale l'etichetta abbia potuto espandersi, acquisire altri gruppi, organizzare eventi in giro per l Italia ( i Garrincha loves): in tutto questo, forse il "target" della label si è un pò adeguato a quello del gruppo, l'età media di riferimento si è un po' abbassata, ma questo è stato in fondo un fenomeno generale.

A giugno di quest’anno, sulla pagina Facebook  ufficiale, l’annuncio della fine del progetto Jocelyn Pulsar. Come mai questa decisione?

Serviva a me: sentivo che Jocelyn Pulsar aveva dato tutto quello che poteva, se ci penso ha fatto anche troppo rispetto alle mie intenzioni iniziali;  avevo bisogno di ricominciare da capo.
Ora è partito il nuovo progetto Divano. Perché questo nome? Da cosa si differenzia rispetto a Jocelyn Pulsar?

Dopo anni in cui nessuno capiva alla prima il nome del gruppo, ho deciso di optare per qualcosa di semplice, comodo da ricordare, e che magari riflettesse anche un po’ la mia indole lenta: DIVANO mi sembrava adatto; rispetto a Jocelyn Pulsar questo nuovo progetto (non mi piace dire progetto, d’ ora in avanti dico “gruppo”) sarà forse leggermente meno cantautorale e più ritmico, mi sento più libero di inserire cose che con Jocelyn Pulsar magari scartavo perché la mia testa mi diceva che “il pubblico non se le aspettava”: in realtà, zero pubblico, era solo un mio problema.

Il 17 novembre è uscito il primo singolo “Il pezzo è bello se lo canta mia nonna”. Si tratta di un esperimento molto particolare che ha visto il coinvolgimento dei fans. Ti va di dirci di più?

Sì, ho pensato di coinvolgere i fanz (non è un errore, lo scrivo così per prendermi in giro da solo ogni volta che lo dico) di Facebook facendomi inviare, da chi ne aveva voglia, la registrazione della parola “GIOVANE”, che poi abbiamo inserito in vari punti della canzone, tutti contemporaneamente (me ne sono arrivati più di 30, me ne aspettavo 4…), creando un effetto “folla”. Si tratta di un esperimento di “social- canzone”, non so se altri l'hanno già fatto, magari siamo stati i primi al mondo: ben venga.

Quando è prevista invece l’uscita del primo album dei Divano?

Il disco intero è previsto per la fine di Gennaio 2015.

A che tipo di produzione e distribuzione si affiderà Divano?

Il disco uscirà per la Cabezon Record dell’ amico Mario Vallenari (che mi anticiperà di un paio di settimane con il suo disco solista): la distribuzione dipende da molteplici fattori, resta il fatto che con DIVANO mi piace partire dal basso, tornando ai rapporti diretti con chi si occupa di musica, bypassando molti intermediari: come si faceva una volta insomma.

Cosa intendi nello specifico per "bypassare molti intermediari"?

Nello specifico penso agli uffici stampa, che oggi hanno quasi tutti, dal grosso gruppo famoso alla giovane band con appena un demo alle spalle: spesso è utile, anzi a volte è indispensabile, ma credo che nessuno possa mettere la stessa passione e impegno nella promozione di un tuo disco, quanto te stesso: ritengo che tornare a parlare con chi scrive di musica, con i giornalisti, con i blogger, con chi ha un programma radiofonico, coltivare rapporti personali, confrontarsi, sia ancora molto interessante: da questo punto di vista l ufficio stampa diventa un cuscinetto che non fa quasi mai incontrare le due parti, e questo alla lunga ha iniziato a non piacermi più: siccome sono sostanzialmente un vecchio dinosauro dell indie nostalgico, vorrei provare a farne a meno (anche perché, tra l'altro, costicchiano)

Cosa significa per te essere indipendenti?

Non lo so più: come ti muovi, pesti una merda.

La musica indipendente italiana è cambiata in meglio o in peggio rispetto all'indipendente di 10 anni fa? 

Io quando ho cominciato  gli indipendenti erano dei nerd, che si compravano Rumore o Blow Up o il Mucchio in edicola, quasi vergognandosi di chiederle all'edicolante, che spesso non sapeva neanche di averle: ai concerti di musica "indie" ci andavano davvero 4 gatti, tranne rare eccezioni, le radio l indie non lo trasmettevano e nei negozi di musica non si trovava.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata; della musica indipendente ne parlano Grazia e Repubblica, addirittura anche Mollica al Tg1 qualche volta, i concerti "indie" fanno i pienoni che una volta erano dei Subsonica, Radio Rai 1 parla di Benvegnù alle 3 del pomeriggio e Radio Capital fa la diretta del concerto di Brunori, e nei negozi si trova più facilmente Il Teatro degli Orrori di Massimo di Cataldo. Tutto bene quindi? Dipende: io sono tra quelli che non associano il  successo dell indie ad una emancipazione del pubblico giovane che, al solito, si prende quello che gli danno: ora vanno l'indie e il rap, e quello ascolta. Quando passerà di moda, ascolteranno qualcos'altro: invece, ai "miei tempi" lo si ascoltava per scelta, lo si doveva andare a cercare, e quindi forse era più bello.

Qualche nome di artisti della scena contemporanea che stimi particolarmente?

Io resto affezionato ai "vecchi nomi", quindi sono molto contento del ritorno di Artemoltobuffa, trovo valida la scrittura di Dente a livello di testi, poi ecco, ci devo già pensare, non mi viene in mente molto altro.
Oltre i Divano quali sono i progetti per il futuro di Francesco Pizzinelli?

Gestire un circolo culturale, mi piacerebbe: ci sto anche un po’ lavorando, in effetti.

Posso dire un'ultima cosa?

Certo Francesco, vai pure!

Viva i Pavement!

martedì 11 novembre 2014

[MUSICRAISER] Sostenere la creatività di Fantasia Pura Italiana

Un concentrato di originalità che si manifesta sin dal titolo: Fantasia Pura Italiana; un progetto che nasce a Prato nel 2009 e si trasferisce a Roma per ragioni artistiche.

Il genere è davvero qualcosa di particolare, ovvero un potente miscuglio di rock, funk, ska e cantautorato che prevede improvvisazioni teatrali nei spettacoli dal vivo. Il tutto carattterizzato con una marcata punta di sarcasmo.

MusicraiserNel video di presentazione della campagna su Musicraiser viene riproposto il personaggio del Senator Signor Boni, un ex politico con la testa di gorilla caduto in disgrazia per la crisi e la passione per le banane che si appella ai raisers per realizzare il nuovo obiettivo dei Fantasia Pura Italiana. Su loro canale YouTube seguono altri divertenti episodi sul senatore in evidente crisi economica.
Dopo una serie di EP è giunta l'ora di produrre infatti un album vero e per questo la macchina del crowdfunding deve fruttare almeno 2.500 euro.

I pacchetti di ricompense contengono album digitale e fisico in anteprima, citazioni sul disco, oggetti di merchandising tra i quali una banana gonfiabile gigante e il titolo di sponsor ufficiale dell'album con  tanto di logo.

Sostenere i Fantasia Pura Italiana significa dunque alimentare un progetto creativo, pungente e musicalmente colto.


lunedì 10 novembre 2014

2009 - Prometto (Eva Mon Amour)

Prometto


Qualche annetto fa, girando sul Tubo alla fresca scoperta dell'indie italiano, mi imbatto nell'incedere di questa sobria e malinconica ballata di una band allora per me sconosciuta chiamata Eva Mon Amour. Oltre al pezzo mi colpirono anche le immagini del video non ufficiale, che per la verità trovo più azzeccato del videoclip di Stefano Poletti: uno scorrere lento di bellissime fotografie in bianco e nero scattate durante un backstage della band a Parigi.

Poi le parole di Emanuele Colandrea che fanno di Prometto uno dei pochi pezzi che trattano dell'amore verso un'altra persona ma delle attenzioni verso il proprio "Io", facendo leva su un elenco figurato di promesse: donarsi qualche rosa in più, crearsi stazioni di partenza e donarsi qualche rosa in più.

Ecco il testo integrale della canzone:

Prometto di essermi fedele sempre di regalarmi quattro fiori in più 
e di pagare in tempo il mio riscatto e in queste cose non mi servi tu 
Prometto d'investire meno tempo nella lucidatura della mia banda 
Prometto di sentirmi meno solo che soli non è come Dio comanda  
Prometto di comprare una stazione per avere un punto di partenza  
perché la vita è dove puoi andare e tutto il resto è riconoscenza  
Prometto di pagarmi gli alimenti  
Prometto di essermi fedele sempre di regalarmi quattro fiori in più  
e di pagare tutto il mio riscatto perché alla fine non lo faccia tu  
Prometto di puntare un'orizzonte e di portarci il verde della mia banda  
Prometto di sentirmi meno solo che soli non è come Dio comanda  
Prometto di proteggere i miei occhi dagli antichi fasti della tua assenza 
perché la vita è dove puoi guardare e tutto il resto è riconoscenza  
Prometto di pagarmi gli alimenti (x4)

Provenienti da Velletri (RM) e nati nel 2008 come evoluzione più cupa dei Cappello A Cilidro gli Eva Mon Amour annunciano lo scioglimento nel 2014: sicuramente uno degli episodi più traumatici dell'annata indie italiana. Oggi il frontman Emanuele Colandrea suona la batteria in Galoni, talentuosa band del compaesano Emanuele Galoni.


domenica 2 novembre 2014

[INTERVISTA] Francesco De Leo: l'infanzia, l'Italia, L'Officina Della Camomilla, Garrincha, l'indie e la silenziosa svolta solista.

Il prossimo 4 novembre uscirà uno dei lavori più attesi della scena indie italiana: Senontipiacefalostesso Due de L'Officina Della Camomilla, a più di un anno di distanza dal primo capitolo. In realtà l'album da qualche giorno è già disponibile in anteprima su Yotube e Spotify.

Francesco De Leo è il giovanissimo leader storico di una formazione che in più di 5 anni di vita ha già visto diversi sconvolgimenti: da band senza label discografica tra le più più amate su Youtube fino a Garrincha Dischi, grazie alla quale il successo si è amplificato.

Ci tenevo ad intervistare Francesco, personaggio abbastanza schivo in un'epoca in cui anche nella scena indie l'immagine e la comunicazione stanno diventando armi usate in modo sempre più aggressivo.

Le sue canzoni e suoi testi hanno un impatto comunicativo non immediato ma suggestivo, denso di immagini apparentemente sconnesse, surreali e sognanti che solo un ascoltatore ben disposto può afferrare. Anche il timbro vocale di Francesco è molto particolare, non di particolare talento ma molto originale e da timido adolescente. Un autore fuori dal tempo innamorato della canzone e della lingua italiana.

Di seguito la bella e lunga chiacchierata con Francesco che parla della sua tormentata infanzia, della musica italiana, il concetto di indie, il percorso musicale dall'Officina a Garrincha fino al controverso progetto solista.

Ne viene fuori l'autoritratto allucinato e visionario di un autore fuori dal tempo, schivo, complesso e non sufficientemente compreso. Nemmeno dai suoi stessi fan.

 Officina Della Camomilla
foto: Anna Della Badia Photography

Hai cominciato a comporre canzoni giovanissimo. Parlaci un po’ della tua infanzia e della tua crescita musicale. 

Ho vissuto fino all’età di cinque anni a Chiavari, ero un bambino credo felice. Poi mia madre ha scelto di spostarsi a Milano per lavoro e da lì credo sia sorto dentro di me uno strano meccanismo di rifiuto universale contro il mondo. Ricordo tuttavia con tenerezza la mia infanzia meneghina, molto fredda e buia. Ho iniziato a suonare la chitarra classica in prima media nella scuola sperimentale musicale Vivaio, che ho frequentato solo per il primo anno prima di ritrasferirmi in Liguria, nella desolante Rapallo (fra l’altro l’Ilaria Curioni [tastierista dell'Officina, ndr],  era nella sezione B, io nella C).
Questi passaggi di realtà dalla città alla provincia mi hanno non poco destabilizzato. Passare da una metropoli ad un piccolo paesino della riviera ligure è un’esperienza terribile, è la ghigliottina. Vivere e andare a scuola in Liguria è molto più alienante che in altri luoghi, il mare e la bellezza dei paesaggi si annullano. Da qui la mia carriera scolastica ha avuto una spaccatura non indifferente, dal distinto sono passato rapidamente all' insufficiente. A scuola in quel periodo non ci andavo più. Preferivo dedicarmi a lunghe passeggiate sperduto nei monti. Volevo tornare a tutti i costi a Milano, così in secondo liceo ho convinto mia madre a ritornarci fingendomi malato di cuore. Una volta sbarcato però, non ho ritrovato affatto quel che avevo perduto. Anzi, ho provato un forte senso di nausea e oblio grigio. Uno dei miei migliori amici s’era appena convertito al fascismo e distribuiva volantini per Forza Nuova. Frastornato e tagliato fuori dal mondo-Milano, ho trascorso due anni chiuso in casa 5 giorni su 7. Ero diventato pazzo, autistico, esiliato, visionario. Uscivo solo per giocare a calcio o andare dal mio psicologo guru. Ho iniziato in modo compulsivo a comporre musiche e colonne sonore e le caricavo sui vari Myspace e Qoob. Come un recluso, trascorrevo tutto il tempo ad ascoltare dischi e a strimpellare tastiere e chitarre. I miei fedeli compagni di delirio sono stati per lo più Luigi Tenco e Piero Ciampi: sono stati dei genitori adottivi. Dal lato della musica contemporanea invece ero stato stregato ingenuamente dagli Strokes. Completamente fottuto. C’è chi nel ‘91 ascoltava i Nirvana, e chi nel 2001 ascoltava gli Strokes. E’ questione di annate e di fortuna. Presi lezioni di chitarra classica ed elettrica. Non studiavo mai, imparavo tutto a memoria e mi andava sempre di lusso. Diciamo che per il 50% sono autodidatta, vado ad orecchio  e non conosco tutti i nomi degli accordi, che bello!
Ora sono in perpetuo vagabondare nel triangolo industriale Torino - Milano – Chiavari:  è il mio triangolo delle bermuda. Prendo un casino di treni regionali arrugginiti e lenti: tagliano i campi.

Quali artisti ti hanno più influenzato?

Dal fondo delle mie prigioni, ho ascoltato molto: Paolo Conte, Stereolab, Velvet Underground, Television, Pink Floyd, Stooges, De Andrè, De Gregori, Joy Division, Smiths, Gian Maria Testa, Flavio Giurato, Spaceman 3, Claudio Lolli, Ivan Graziani, Ivano Fossati, Glen Branca, Prokofiev, Mussorgsky, Beat Happening, Einstürzende Neubauten ecc. Elenchi infiniti.

L’Officina della Camomilla è nata da pochi anni ma ha già una storia piuttosto movimentata da raccontare con diversi cambi di formazione. Prova a riassumerla.

Formazioni camaleontiche impossibili da riassumere, se non così:

- Francesco De Leo - Stefano Poletti - Matilde Calza
- Francesco De Leo - Stefano Poletti - Beatrice Zanantoni - Claudio Tarantino
- Francesco De Leo - Beatrice Zanantoni - Claudio Tarantino
- Francesco De Leo - Beatrice Zanantoni - Niccolò Di Gregorio - Anna Crayon - Claudio Tarantino
- Francesco De Leo - Manuela Puglisi - Claudio Tarantino
- Francesco De Leo- Claudio Tarantino - Marco Amadio
- Francesco De Leo- Ilaria Baia Curioni - Anna Viganò - Marco Amadio - Claudio Tarantino
- Francesco De Leo - Ilaria Baia Curioni - Anna Viganò - Marco Amadio - Gaetano Polignano

Inizialmente l'Officina cantava “In Italia il disco te lo fai da solo” poi è arrivata Garrincha Dischi. Come è avvenuto questo passaggio? Come ti trovi nella famiglia di Matteo Romagnoli?

Sì, gran bei tempi quelli! Registravo tutto quello che volevo come volevo quando volevo. Diciamo che siamo approdati in Garrincha tramite Lodo Guenzi che era infuocato con l'Officina ed aveva fatto sentire delle canzoni a Matteo. Così una volta ci siamo beccati a Trento, e abbiamo deciso di provare a registrare prima un ep che poi s’è trasformato in una marea di canzoni per sfociare nei successivi Senontipiacefalostesso 1 e 2. Ho sempre pensato a questi dischi come un impossibile lavoro archeologico, per riportare alla vita brani scritti in un’età molto acerba. Acerba, ma tuttavia lucente. Diciamo che i lavori della Garrincha non mi entusiasmano molto. Non credo di appartenere al filone imposto tipo Stato Sociale o L’Orso. Non trovo affinità. La cura per i suoni è molto scarsa, credo ci siano troppe forzature. L’Officina non è un gruppo pop. Con queste produzioni però, s’è fatto di tutto per farla diventare tale.

Una domanda che faccio a chiunque incontro: cosa è per te la musica indie?

L’Indie è un gran contenitore di robe strane. Eclettica e derivata, la musica indie è il mix delle culture musicali che restano a galla, nella nostra putrida deriva storica  contaminata, mediocre, didascalica. Credo che i testi siano la cosa peggiore. Abbiamo avuto i migliori cantautori del mondo e si fa di tutto per farli morire. Non v’è passaggio di tradizione alcuna. Le prime forme di canzone italiana derivano dai canti anarchici. Detesto gli ibridi di elettronica e testi apparentemente antropologici, sembra quasi che i ragazzi d’oggi non abbiano più cuore, sembra che sappiano solo descrivere quello che fanno o vedono o frequentano, formando così le varie parrocchie della moda del momento e contro-moda del tempo da deridere reciprocamente. Credo che non sia interessante sapere cosa una fa. Credo sia più interessante sapere uno cosa non fa. Il mondo è un fottuto acquario sospeso nel vuoto, manco sappiamo cos’è. Fra l’altro esploderà assieme al sole, è inutile parlare di quello che c’è. Diciamo che l’indie è il genere più debole fra tutti i generi. Non è un cavallo di razza, piuttosto una iena meticcia che ride in un modo particolarmente stupido. Sopraffatti dagli anglofoni affondiamo assieme alla nostra bellissima lingua.

Spesso alcuni detrattori ti accusano di avere un modo di cantare fastidioso. Cosa vogliamo rispondergli?

Sono contento di provocare dolore. Sono sadico, non so cantare.

I tuoi testi sono una peculiarità, densi di immagini suggestive, sognanti e apparentemente sconnesse. Come nasce tutto questo?

I miei testi sono frutto di quel che vedo e di come lo vorrei modificare. Non è nonsense. Il senso c’è. Solo in pochi evidentemente sono in grado di capirlo. Mi dedico all’evocare sensazioni e dimensioni. Le dimensioni e le sensazioni che ho vissuto nella mia vita. E’ addolcire la pillola in un modo malato, ossessivo, esagerato, magari surreale o iperreale sì, ma non nonsense. Chi scambia l’Officina col nonsense commette un errore. Vedo i testi e la musica come un cinema. Proietto le mie immagini cariche di deliri, è un delirare, errare. Delirare drogastico, alcolico, giovane e saggio assieme. Parlo di come fuggire dalla Milano Città Mostro di Vestiti. Parlo di vandalismo. Parlo di come uccidere la noia. Se sono sconnesso è perché lo sono davvero.

Nella canzone “La tua ragazza non ascolta i Beat Happening” urli “Siamo pieni di droga!”. Dicci di più.

Preferisco la prima versione di questo brano. La versione Garrincha sembra un jingle pubblicitario della Kinder. La mia l’ho registrata in una notte di agosto. E niente, parla della gran corsa da drogati che credo più o meno tutti abbiamo provato. Non so, quando sei fatto e corri è una gran sensazione. La parte più importante del testo è la piccola strofa “e io corro con te e sbatto la testa sulla tua”. Mi sono sempre immaginato due ragazzi che scappano da Milano attraverso la pianura in uno scoppio di Lsd marittimo. La corsa, la fuga, l’addio. Dio.

Rispetto a tanti colleghi dell’indie italiano sei abbastanza schivo nei confronti dei tuoi fan. Che rapporto hai in realtà con loro?

Si loro sono sempre molto gentili, timidi, casinari e innamorati. Io sono schivo nella vita in generale, poi dipende dalle sere dai giorni. Non uccido nessuno, poi chissà. Diciamo che sono sempre perso in giro, sempre sui treni, sempre frastornato, non ho il cellulare: sono un ragazzo d’altri tempi.

Le tre canzoni dell’Officina da te preferite.

Mah, non lo so, non è che mi piacciano tanto. Sono arrivato al punto di odiarle. Forse Dai Graffiti Del Mercato Comunale è una che mi piace sempre cantare. Ha qualcosa in più delle altre.
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Descrivi in poche parole “Senontipiacefalostesso Due”, in uscita il prossimo 4 novembre e in anteprima da venerdì scorso su Youtube e ora su Spotify.

E’ una raccolta di brani storici più qualche inedito. E’ indiscutibilmente pop; più che la musica io direi di ascoltare i testi, di tralasciare il cantato e capire bene le parole. I testi sono la cosa più importante. Alcune canzoni non le avrei messe, però amen. Il disco è stato registrato sotto l’effetto dell’amnesia lemon, famosa erba d'Olanda.

A settembre, quasi in punta di piedi, è stato pubblicato su Youtube Soutine Twist un tuo lavoro solista lungo più di due ore e quasi esclusivamente strumentale. Perché hai sentito l’esigenza di questo album?

Soutine Twist credo sia la cosa migliore che abbia fatto quest’anno. E’ un disco nato spontaneamente tra l’arco della primavera e la fine dell’estate. Chiaramente è un disco di contrabbando. Mi sono arroccato nella mia città natale Chiavari ed ho riscoperto definitivamente la sua bellezza, la sua pace, le sue sbronze all'osteria da Vittorio sin dal 1925.Volevo parlare della Liguria, terra morta. Volevo far conoscere la Colonia Fara, ex colonia estiva fascista poi scuola elementare  e da una quindicina d’anni tramutata in un rudere romantico a 10 metri dal mare dove spesso faccio una nuotata. Molto struggente, post-mondo. Ho voluto registrare i suoni locali, tra cui una meravigliosa messa, poi distorta e modificata con molti strati di delirio ludico. L’unico brano cantato “Soutine Twist” è stato registrato con un mini-registratore della Sony nella piccola cappella di un cimitero sopra Leivi. Difatti ho una voce molto spettrale. Sono andato a catturare i suoni dei miei veri sentieri, degli ulivi e delle chiese. Dei gabbiani, dell’aria e della pioggia. Volevo consacrare questo 2014, intrappolarne i rumori, testimoniare. Alcuni suoni metropolitani sono stati catturati a Torino, Bologna e Milano perché spesso mi ci ritrovo. Mi sono innamorato della pittura di Soutine l’anno scorso ad una sua mostra al Palazzo Reale: lo trovo molto affine a me come stortezza. Inoltre è stato un grande vagabondo. In questo grande archivio che dura più di due ore, c'è tutto il mio ventitreesimo anno di vita, tutta Trenitalia. Sono  musiche strumentali, sproloqui allucinanti, jam session, cose punk. C’è anche un lungo brano strumentale dedicato a Peter Fechter, un muratore tedesco di diciotto anni morto perché una guardia comunista gli sparò in pancia, mentre tentava di passare a Berlino ovest, forse per la Coca Cola. Credo che la sua agonia sia per certi versi simile alla nostra gioventù contemporanea, lasciata a morire. Tutto questo vagabondare e delirare formano una mappa, con le sue precise tappe in un percorso da seguire. Se vuoi pinkfloydiano o alla Fetus di Battiato: cupo, anticaleidoscopico, bizzarro. Impossibile da ascoltare tutto. A bassissima qualità, non mixato, completamente autoprodotto. Per chi volesse impazzire o è già un pazzo di suo lo può trovare integrale su Soundcloud https://soundcloud.com/francesco-de-leo-91/sets/soutine-twist

Un lavoro che sembra differenziarsi abbastanza dalle ultime produzione de l’Officina.

Sì, diciamo che ho voluto tracciare un confine tra me e l’Officina. L’Officina la guardo un po’ come un progetto un po' lontano di quando ero adolescente. Adesso sono cresciuto e vorrei smarcarmi da questa piega e stravolgere completamente le carte in tavola.

Chi sarà Francesco De Leo tra 10 anni?

Tra dieci anni continuerò a suonare e a smarrirmi per questi labirinti. Resterò in Italia: ha bisogno anche lei di qualcuno che la sappia raccontare.