mercoledì 25 febbraio 2015

[MUSICRAISER] Meg: il pre-order dell'album Imperfezione.



Comincia una nuova era per Musicraiser, che si afferma come realtà italiana all'avanguardia nel settore del crowdfunding e di respiro sempre più internazionale grazie al finanziamento di 350.000 euro proveniente da b-ventures (Gruppo Buongiorno), Key Capital e da un pool di investitori privati.

Ci sono novità importanti quindi, che vanno oltre il crowdfunding; una di queste è la possibilità per l'artista di avviare un progetto ALBUM PRE-ORDER, che prevede la possibilità per i raisers di prenotare l'album prima che sia realizzato, senza un obiettivo economico minimo per vedersi riconosciuti i pagamenti.

Ad inaugurare questo nuovo servizio è la napoletana Meg, nota inizialmente come voce femminile dei 99 Posse, intraprende una carriera solista che vede collaborazioni brillanti come quella con Colapesce per il singolo "Satellite". L'ultimo album di Meg, Psychodelice, risale al lontano 2008.

Meg ha sempre scelto di non affidarsi ad etichette discografiche major o indie, tanto da fondare Multiformis, una propria etichetta finalizzata appositamente alla produzione dei propri lavori. 

Nell'aprile di quest'anno uscirà l'album Imperfezione e sarà possibile acquistarlo in pre-oder su Musicraiser insieme a una serie di prodotti a tiratura limitata ed esperienze esclusive.
Tra queste si segnala un pass per il backstage a un concerto di Meg, notebook decorati a mano da Meg, incontro con Meg a un evento inclusivo di catering a buffet e tutte le tracce in formato .wav di una canzone a scelta tratta da Imperfezione con i diritti di utilizzo commerciale. L'album è disponibile in formato cd autografato, decorato a mano, vinile e persino su nastro.

Meg inaugura in Italia una nuova frontiera dell'autoproduzione, con la speranza che i fruitori italiani rispondano positivamente così come è avvenuto per le campagne di crowdfunding.


mercoledì 11 febbraio 2015

[LABELS] Intervista a Giando Carbone, boss di Diavoletto: una netlabel indie/rock tutta italiana.



Oggi parliamo di Diavoletto Netlabel, un'esperienza discografica unica in Italia che nasce in terra lucana nel 2010.
La netlabel è una forma di distribuzione discografica basata esclusivamente su streaming online e download gratuito sotto licenza Creative Commons. Una label che ha lanciato artisti importanti della scena lucana come Dr, Panico e Aeguana Way per poi distribuire artisti di livello nazionale tra i quali Il Nero Ti Dona, Radio In Technicolor e Malatja e addirittura band provenienti da Russia, Australia e Brasile. In pochi anni Diavoletto può vantare migliaia di contatti e download persino dagli USA.

La caratteristica di Diavoletto è utilizzare la forma di distribuzione esclusivamente digitale, tipica del genere elettronico, per la musica indie/rock, con lo scopo di concedere una vetrina e apporre un marchio di qualità alle band arruolate; Dal 2013 la distribuzione avviene anche su tutti i principali stores digitali e piattaforme di streaming del mondo grazie ad un accordo con Believe Digital, il più grande distributore digitale Europeo.
I traguardi raggiunti hanno attirato l'attenzione della stampa fino all'assegnazione premio MEI come miglior etichetta digitale italiana (2013).


Ho fatto una chiacchierata con colui che ha qualche anno fa ebbe questa felice intuizione: Giandomenico Carbone detto "Giando"



Chi è nella vita di tutti i giorni Giandomenico Carbone? Che musica ascolta?

Oggi la musica che ascolto è varia. Non faccio più distinzioni tra generi, ho imparato a distinguere solo tra buone vibrazioni e vibrazioni neutre, che non mi dicono molto. Come tanti della mia generazione ho vissuto l’epopea grunge e tutto ciò che ne è conseguito. Mi piace molto chi osa, chi sperimenta e cerca di trasmetterti qualcosa. Ascolto molti artisti emergenti Italiani con lo stesso rispetto e ammirazione per come potrei ascoltare i Radiohead, i dEUS o i Balthazar che a mio avviso è la band che meglio interpreta il tempo che stiamo vivendo. 

Come è nata l’idea di fondare un’etichetta indipendente? E’ stata un’iniziativa solitaria?

Si, è stata un’iniziativa solitaria. Avevo registrato dei brani senza pretese e li avevo caricati su myspace. Mi sono accorto che qualcuno li ascoltava e li apprezzava. Da lì ho cominciato a cercare qualche etichetta che fosse interessata a quei brani. Ovviamente non ne ho trovata nemmeno una. Così mi son detto che se non c’era nessuna etichetta disposta a pubblicare brani di perfetti sconosciuti l’avrei creata io. Così, un po' per gioco e un po' in maniera seria cominciai a contattare band di amici che avevano prodotto delle registrazioni e chiesi loro se erano d’accordo a pubblicare le loro opere sotto uno stesso marchio.

La netlabel è una forma di etichetta indipendente interamente digitale di derivazione americana, nata con riferimento alla musica elettronica. Perché hai scelto proprio questa via? Ci puoi spiegare su quali principi e filosofia si basa?

Continuo dalla risposta precedente. L’idea è stata da subito concepita come un semplice sito web che diffondesse in maniera gratuita la musica che per noi era valida. Una sorta di consiglio alle persone, come quando ad un tuo amico suggerisci:”ehi ascolta questi, sono fortissimi!”. Da qui mi sono imbattuto nelle netlabel americane. Erano proprio quello che stavo cercando, con una struttura ben definita e la possibilità di scaricare gratuitamente musica e soprattutto in maniera legale usufruendo delle licenze Creative Commons. Ho scoperto che esistevano delle netlabels anche in italia ma che, come quelle americane, distribuivano unicamente musica elettronica. Allora mi son detto che saremmo stati la prima netlabel italiana a distribuire musica rock, indie. E dopo un mese nacque la Diavoletto Netlabel.

Perché molti artisti scelgono la strada della distribuzione gratuita dei loro lavori affidandosi a Diavoletto Netlabel? E’ previsto anche l’acquisto del supporto fisico?

Analizziamo la situazione attuale. C’è youtube,  c’è spotify, soundcloud, ci sono i digital stores, c’è la possibilità di essere visibili e/o ascoltabili per chiunque faccia musica. La rete è piena zeppa di musica e tu, artista, sei lì presente, nello stesso territorio dove sono presenti i grandi artisti. Hai la sensazione di esserci nel fantastico mondo della musica. Ma è una sensazione illusoria perché è vero che adesso puoi pubblicare in rete le tue opere ma se nessuno sa come raggiungerti si rischia di rimanere una goccia in un oceano. In più questa grande mole di musica su internet si è trasformata in overload, ovvero una stragrande quantità di materiale musicale dove diventa difficile andare a scoprire ciò che può piacerti. E qui ritorna il discorso della netlabel che ti consiglia, dell’etichetta che appone un marchio su quella musica, certificandola e sussurrando all’orecchio dell’utente:”ehi, ascolta questi, sono fortissimi!”. L’utente va sul sito della Diavoletto e sa di trovare musica di qualità e che segue una certa linea di pubblicazione. Per questa stessa ragione gli artisti si rivolgono a noi. Il supporto fisico rimane una scelta ad appannaggio degli artisti. A noi interessa diffondere il più possibile sul web.

Quali sono i più importanti risultati raggiunti in questi anni?

Secondo me i numeri. Siamo vicini alla soglia dei 150.000 download complessivi e abbiamo ogni anno un numero tra i gli 5.000 e 6.000 accessi unici solo dagli Stati Uniti. Significa che c’è una fetta ben consolidata di utenti che ci segue dagli States, la patria delle netlabels. Ma ci sono anche altre cose. Questo blog, ad esempio, ci ha annoverato tra le 25 etichette indie degne di nota in italia, nel 2013 siamo stati premiati al MEI di Faenza come miglior Netlabel italiana. Abbiamo partecipato a numerosi festival italiani, tra cui il concertone del primo maggio. Abbiamo realizzato una compilation per celebrare il ventennale di Catartica dei Marlene Kuntz. Questo ci ha permesso di collaborare con gli stessi Marlene che ci hanno sostenuto in questa iniziativa e con i quali si è creato uno splendido rapporto.

Come scovi gli artisti/band da distribuire con Diavoletto? 

Principalmente sul web. Ci arriva molto materiale che ascoltiamo sempre, lo voglio dire perché qualcuno pensa che non lo facciamo. Mi piacerebbe scovare molti più artisti/band nei locali che propongono musica emergente.

Nel vostro catalogo ci sono anche artisti internazionali. Dicci di più.

Un giorno ci scrivono dalla russia, un gruppo di ragazzi che proponeva un brit-pop. Il loro disco ci è piaciuto da subito e in più loro volevano a tutti i costi che il disco venisse pubblicato su Diavoletto. Non riuscivo a spiegarmi come eravamo arrivati fino in russia sta di fatto che con quel disco ci siamo resi conto che potevamo azzardare anche pubblicazioni di artisti stranieri. E così negli anni abbiamo pubblicato un gruppo australiano, un artista francese e un altro gruppo brasiliano. 

Segnala le tre produzioni del catalogo Diavoletto di cui vai più fiero.

Le prossime tre. Diplomazia a parte sono tutti dischi che a me piacciono molto. Ogni disco nasconde una storia e un rapporto personale con gli autori. Diavoletto è nata ed è come una famiglia dove i primi a scaricare i dischi sono gli stessi artisti.

Se potessi “rubare” un nome dell’attuale scena indie italiana a un’altra label, chi sceglieresti?

Le luci della centrale elettrica e Levante.

Cosa ne pensi dell’attuale panorama musicale indipendente italiano?

C’è un bel fermento ma non me la sento di paragonarlo al panorama indie di venti anni fa. Oggi sembra che siano un pò tutti allineati verso la stessa direzione. Molte volte non solo lo stile musicale ma anche le idee sembrano ripetersi in diversi artisti.

La domanda che faccio a tutti: cos’è per te la musica indie?
E’ tutta quella musica che viene fuori dalle salette, dai garage di provincia, da gente che ha qualcosa da dire e che non è ossessionata dal successo. La musica indie è l’opposto della musica che esce fuori dai talent show.

Ci sono progetti particolari in serbo per il futuro?

Si. C’è l’idea di seguire una naturale evoluzione per quanto riguarda la netlabel. Vogliamo farla diventare un qualcosa di più di un semplice sito che rilascia musica. Credo che questo avverrà in tempi brevi ma non posso dire altro. Posso aggiungere che faremo questo insieme a un partner molto affermato nel proprio settore e con il quale condividiamo a pieno queste idee. Grazie.

giovedì 5 febbraio 2015

[MUSICRAISER] Il ritorno dei CSI per raccontare la Resistenza.


Gianni Maroccolo (ex bassista Litfiba, CCCP e CSI e produttore discografico) colpisce ancora: è stato tra i primi in Italia ad intuire le potenzialità del crowdfunding musicale, capace di sfruttare appieno le opportunità offerte dalla piattaforma Musicraiser con due progetti imponenti e molto articolati da un punto di vista multimediale, grazie ai quali è stato capace di raccogliere in totale quasi 50.000 euro coinvolgendo più di 1.000 raisers. I due progetti erano il cofanetto vdb23/nulla è andato perso (2012), insieme al compianto Claudio Rocchi e la riproposizione dello spettacolo teatrale Eneide di Krypton / un nuovo canto (2014) con alcuni membri storici di Litfiba.

I compagni di sfida di Gianni stavolta sono nientemeno che i mitici CSI (Massimo Zamboni, Giorgio Canali e Francesco Magnelli) insieme ad Angela Baraldi al posto di Giovanni Lindo Ferretti, in esilio mistico e volontario. Gli stessi CSI hanno visto andare a buon fine un altro maxiprogetto che prevedeva un box dei loro album in vinile (2013) e gli stessi Zamboni e Baraldi hanno finanziato la promozione di un album insieme.

Lo scopo della campagna dei Post Csi è la produzione di un cofanetto dedicato alla memoria della Resistenza e della guerra civile raccontata attraverso un DVD - “Il nemico - un breviario partigiano” - un CD contenente la colonna sonora del film e un libro collettivo, un Breviario Partigiano. L'obiettivo minimo è 9.000 euro ma ne sono già stati raccolti più di 17.000 euro con un boom ormai tipico delle campagne promosse da Gianni Maroccolo o i CSI.

La colonna sonora originale del film comprende tre canzoni inedite (le prime dopo 18 anni) composte per l'occasione dai musicisti del gruppo CSI assieme alla cantante Angela Baraldi: Il Nemico, Senza Domande, Breviario Partigiano. Alcune canzoni tratte dall'album “Una infinita compressione precede lo scoppio”, di Massimo Zamboni e Angela Baraldi. Alcuni brani live tratti dai concerti “30 anni di Ortodossia” e “Ciò che non deve accadere, accade”.

Le ricompense sono tutte molto ghiotte e all'interno dei pacchetti troviamo oggetti di merchandising (spille, magliette), il libro "L'eco di uno sparo", il DVD, il disco in vari formati, l'intero cofanetto. Con 1.000 euro inoltre si potranno ottenere ben 25 cofanetti il cui ricavato andrà a sostegno di ANPI, associazioni e circoli culturali,

Spetta ai raisers, ovvero al finanziamento dal basso, riportare in vita i CSI e il ricordo della Resistenza; ai raisers l'onore di essere i partigiani dei nostri tempi.



mercoledì 4 febbraio 2015

[INTERVISTA] Mattia Barro: L'Orso e la sveglia per la rivoluzione.

E' uscito ieri 3 febbraio Ho Messo La Sveglia Per La Rivoluzione (Garrincha Dischi) il secondo atteso album de L'Orso in formazione parecchio rinnovata. Fuoriusciti Tommaso Spinelli (basso) e Giulio Scarano (batteria) la band con base a Milano passa da quattro a cinque elementi:

Mattia Barro – voce, chitarra, pianoforte
Omar Assadi – chitarra, voce
Francesco Paganelli – basso, synth, voce
Gaia D’Arrigo – tastiere, voce
Niccolò Bonazzon – batteria

Un cambiamento che si nota in maniera lampante nelle 10 tracce dell'album, in particolare negli arrangiamenti più complessi e ritmati che spaziano dall'alt pop all'elettronica, dal rap al post rock. Nel disco ci sono anche due featuring: il patròn di Garrincha Matteo "Costa" Romagnoli (I Buoni Propositi) e i compagni di etichetta Lo Stato Sociale (Baader Meinhof). Ha collaborato all'intera produzione del disco Enrico ‘Carota’ Roberto de Lo Stato Sociale.



L'album tuttavia ruota attorno alla mente di Mattia Barro da Ivrea, autore dei testi e musica, che in questa lunga intervista ci parla della sua vita, dell'album, di musica, dei suoi rapporti in Garrincha e del futuro, che sa sempre di rivoluzione. Ne viene fuori una personalità ambiziosa e determinata, schiva verso gli addetti ai lavori con un grande amore per la musica come ragione di vita. Poi ci sono l'infanzia, il rap e Garrincha.

Parlami un po’ di te: la tua infanzia, la tua adolescenza, i luoghi in cui hai vissuto. 

Sono nato a Ivrea, nel Canavese. Per oltre dieci anni ho vissuto a Banchette, un paesino di tremila abitanti, nella casa di famiglia, vicino ai miei nonni. A pochi metri da casa mia scorre un fiume imponente, la Dora Baltea, quand’ero bimbo ci si camminava ancora sulla riva, poi arrivò l’alluvione, e ora in bicicletta puoi cavalcare il suo argine. Eravamo quattro amici, tutte persone buone, ingenue, diverse. Passavamo le giornate giocando a pallone o in bicicletta per i campi. Ho avuto un’infanzia stupenda. Nell’adolescenza ho iniziato a fare musica, partendo dal rap e dalla produzione di beats. Tantissime produzioni underground nell’era pre-YouTube, moltissimi concerti e gare di freestyle. Mi ha insegnato molto, in particolare l’amore e il rispetto per la Musica, somma Madre. Ad un certo punto ho dovuto dedicare a quel periodo la cover di Un altro giorno di Nesli, perché nonostante fossi felice, in questa provincia artisticamente sterile, pensavo che solo chi cantava quelle canzoni in cui mi ritrovavo, poteva realmente capirmi. Un giorno vorrei conoscere Nesli e ringraziarlo. Il liceo fu un periodo memorabile, divertente, comico. Forse lì risiedono i miei ricordi preferiti. Terminato il liceo, mi sono trasferito a Milano, dove mi sono laureato e dove risiedo oramai da parecchi anni. So chi mi ha cresciuto, so a chi devo tutto. Ho un profondo legame con la mia famiglia, la mia principale fonte di felicità e fierezza. Me la porto dentro ogni giorno, in particolare chi non c’è più. Ho scritto tantissime canzoni sulla mia famiglia: Tornando a casa, Di chi ti ricordi, Baader-Meinhof. Mi sentirò sempre in debito e spero che io li stia ripagando per tutto.


Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato? La più importante delle tue ultime scoperte musicali?

Nel periodo dell’adolescenza, della ricerca esasperata del proprio Io, ho trovato casa nel rap italiano e in particolare Bassi Maestro, Fabri Fibra e Nesli, nell’elettronica dei Kraftwerk, nei Bloc Party, in Bowie e Talking Heads. Il mio artista di riferimento è David Byrne, sogno un percorso così variegato e concentrato. Mi è sempre parso un artista razionale, coscienzioso, qualità che reputo fondamentali nell’essere umano. Il mio disco preferito è Music for airports di Brian Eno. Le mie ultime scoperte riguardano l’afrobeat, la cumbia, il funk africano, il Palenque; in genere musica popolare africana o centroamericana. Sto poi riscoprendo il mio lato elettronico e godendomi più sensazioni possibili. Voglio ritmo, è un periodo della vita in cui ho voglia di ballare.

L’orso nasce nel 2010 e già vanta una storia molto dinamica, con cambi di formazione e un punto fermo: te. Come si è evoluta musicalmente la storia de L’orso in tutti questi anni? 

Ho scritto tutte le canzoni de L’orso. Musica e testi. Sto procedendo nelle direzioni a me naturali, avvicinandomi sempre più alla mia naturalezza. Ho un’idea di musica molto precisa, voglio essere fluido, mutare, assecondare le possibilità che ho. Voglio scoprire e sperimentare e cambiare, a modo mio. Potevo scrivere altre cento Ottobre come settembre, ma sarei morto dentro. Chi non capisce questo, probabilmente non ha ancora compreso cosa significa avere un’idea di musica. Non sarò mai quello del giorno prima, ho già in mente i prossimi dischi, i prossimi suoni, le prossime tappe. E so che la vita me le plasmerà in una maniera imprevedibile, fantastica. 

Gli ultimi addii sono stati particolarmente importanti. Cosa hanno scatenato in te come uomo e musicista?

Mi hanno confermato un’idea che ho da sempre: la musica è vocazione, è un bene superiore al singolo. Questo pensiero mi rassicura, mi fa capire che sono sulla strada giusta, che ho una coerenza interiore ferrea. Non posso far musica con chi non sposa la mia idea evoluzionistica e non posso comporre con dei turnisti. Ho troppo a cuore il risultato finale e il suo processo creativo. Questo è il rispetto verso qualcosa di più grande di me e de L’orso, ed è ciò che mi ha insegnato il mio trascorso attivo nel rap: il rispetto per la musica.


In che modo l’attuale formazione incide sul sound del nuovo album? Parlami della sua genesi e di come si è evoluta la sua produzione e del risultato finale.

Abbiamo inserito tre musicisti molto differenti tra loro. Omar porta apertura e chiarezza, è un amante del suono che apre e si distende. Con la chitarra colora e trova sottili sfumature che danno nuove chiavi di lettura ai singoli brani. Francesco arriva dal sassofono, ma ha un’attitudine punk che al basso dà tiro e attacco; ci dà una grande spinta. Niccolò invece ha degli ascolti simili ai miei, è ritmato, vuole il groove, l’attitudine giusta. Le canzoni le ho scritte io, come sempre, ma questa volta mi sono lasciato aiutare molto da Matteo Romagnoli e, per la parte elettronica, da Enrico ‘Carota’ de Lo Stato Sociale. Abbiamo lavorato molto sulla pre-produzione in studio, un modo differente, nuovo, più soddisfacente. Questa squadra mi ha fatto sentire meno solo, situazione in cui in passato mi trovavo spesso e per cui soffrivo particolarmente. Il musicista che si sente solo metterà sempre della paura nelle proprio canzoni, e credo che la paura sia un limite nella musica.


Tu l’hai già messa la sveglia per la rivoluzione?

La punto spesso, ne ho bisogno per proseguire questo percorso.


In diversi pezzi (‘Quello che manca’, ‘Festa di merda’, ‘Buoni propositi’) del nuovo album ti lasci andare al rap, per il quale non hai mai nascosto la tua passione. Cosa ha significato per te sinora avere un animo rap e scrivere pezzi spesso addirittura indie folk? Questo passaggio si può ritenere una sorta di liberazione?

Ho sempre scritto pensando da rapper, ora semplicemente non mi pongo più il problema di non essere adeguato nel rappare. È una parte di me, voglio essere un musicista sincero. A molti farà strano, magari non piacerà, ma il rap che sto dando c’è dentro dal primo giorno, nella metrica delle frasi, nella posizione delle parole. Solo che se nascondi ciò che spaventa l’ascoltatore, puoi arginare i suoi limiti. Il rap è un genere ricco di pregiudizi, sta a me non cadere nei cliché. In questo disco penso di averne dato tre immagini molto differenti nei brani da te citati. Dal rap/spoken words, ad uno più moderno fino a quello old school. Per me, è essere tornati a casa.

Dal 2011, con la cover di Serenata Rap, L’orso diventa colonna portante della grande famiglia di Matteo Romagnoli: Garrincha Dischi. Cosa è cambiato da allora? Come ti ci trovi? Con quali compagni di etichetta si è stabilita un’empatia maggiore?

Ho molto a cuore il concetto di famiglia e per un lungo periodo storcevo il naso quando veniva usato in Garrincha. Non penso che stare sotto una stessa label ti renda per inerzia fratello di qualcuno. Mi ci è voluto tempo, quello necessario a trasformare degli estranei in amici per farmi accettare questo splendido e complicato concetto. Ho un rapporto speciale con i Magellano, ho un silenzioso rapporto di cuore con Bebo de Lo Stato Sociale, un amore per Brace. Ho avuto il piacere di conoscere la delicatezza e la splendida educazione di Dario de La Rappresentante di Lista, la passione pura di Anna e Gaetano dell’Officina. Cazzeggio bene con Lo Stato Sociale quando posso, e con Lodo stiamo iniziando ‘a capirci’ in questo periodo. 
Matteo è il fratello maggiore che non ho, quello che ti insegna e ti fa incazzare.
Dal 2010 è cambiato che da questa estate sono in una famiglia in cui credo e in cui spero di contribuire dando il mio meglio e rispettando i ruoli. Sicuramente vorrei avere un ruolo più ampio rispetto al ‘musicista di una band’, sto facendo molti lavori con umiltà e un giorno magari avrò più ruoli reali nelle dinamiche e nelle scelte dell’etichetta.

Cosa ne pensi dell’attuale e fervente scena indipendente italiana? Ti chiedo al volo di consigliarmi tre band/artisti da seguire.

Non ne ho idea, non seguo molto la scena italiana. Ti dico alcune cose.
Il disco di Brace è magnifico. E lui è il migliore.
I Magellano sono delle persone magnifiche che cercano di portare il concetto di festa di Major Lazer all’interno dell’ambiente concerti. 
In realtà non ho ancora sentito molto, ma auguro fortuna a Jacopo de Il Geometra, che ho avuto il piacere di conoscere tempo addietro, prima della nascita del suo gruppo.
Apprezzo molto la scena elettronica (Clap Clap, Popolous, Miami Mais).
Ascolto e stimo chi fuori dal palco si dimostra essere una persona d’onore e di cuore.

Domanda che faccio a tutti e che ora ti sorbirai anche tu: cosa è per te la musica indie?

La parola dietro cui ci nascondiamo per autoproclamarci migliori della musica mainstream. Io non mi sento indie, non più da quando ero adolescente e pensavo fosse una sorte di credo, una comunità. Ascolto con la stessa foga Beyoncé e Clap Clap, Fabri Fibra e Brace. Non parlo mai di musica indie, ma di ambiente indie. Un ambiente che, alla fine, non mi veste per nulla. Lo trovo avido, invidioso, pericoloso. Dopo tre anni non mi sono fatto molti amici sopra i palchi, me ne sono fatti molto di più sotto. Ho visto delle prese di distanza tra musicista e pubblico tremende. Quante persone hanno cambiato atteggiamento quando L’orso è divenuto qualcosa di reale, ma ho la fortuna di avere la memoria lunghissima in questi casi. Spesso è una guerra dei poveri, un covo di vizi e viziati, un giro di saluti a tutti perché si deve. No, non fa per me. Ci vedo così poca passione negli addetti ai lavori e nei musicisti che ogni volta mi viene da piangere. Per fortuna poi c’è il pubblico (la maggioranza), un pubblico che invece ha quell’incredibile forza in cui riconosco il me di qualche tempo fa, che naturalmente è ancora parte integrante di ciò che sono. Poi magari ho avuto solo sfortuna io, ma dopo 250 date in tre anni, so che le persone che ti salutano davvero con affetto sono un decimo di quelle che poi lo fanno per davvero. A me non piace mentire, mettere maschere. Non sono simpatico né socievole e generalmente quando vedo chi stupra la musica, mi girano i coglioni e lo paleso. E non parlo di qualità della musica, ma di attitudine nel farla e portarla in giro sui palchi. Mi piacerebbe ci fosse più voglia di fare cose assieme, di collaborare, se davvero vogliamo essere questa alternativa alle major. Ma ognuno ha il suo orto da coltivare, a quanto pare. Le realtà davvero aperte e stimolanti sono poche, ed è per questo che sono e resto in Garrincha, perché in tutti i limiti naturali che ha, di certo non ha paura a fare le cose. A farsi le seghe siamo bravi tutti, a trovare con chi fare l’amore si è già in meno.

Cosa farà Mattia da grande?

Musica. Ho iniziato a farla da bimbo, non riesco ad immaginare di smettere di comunicare al mondo attraverso uno dei pochi mezzi in cui so esprimermi; chi mi conosce sa che non sono particolarmente socievole. Questo è il mio mezzo. Vorrei poi aver la forza di scrivere di più, di imparare di più, di sviluppare la mia passione per i videoclip. Mettere su famiglia, presto; essere un padre dignitoso. Magari ad Ivrea, in una casa tranquilla, tra la mia gente.